Sindrome post-Covid-19
Sindrome post-Covid-19: quali sono gli effetti a lungo termine del coronavirus? Li posso contrastare? Cosa posso prendere?
Stanchezza, difficoltà respiratorie, problemi di memorizzazione e una sorta di “nebbia nel cervello”. Ma anche insonnia, perdita del gusto e dell’olfatto e rash cutanei. Due tamponi negativi non vogliono dire che il corpo è guarito: anche mesi dopo l’infezione da Sars-Cov-2 i pazienti continuano a presentare dei sintomi. In tutto il mondo sono in corso degli studi di follow-up che
permetteranno di capire l’entità e la durata di questi effetti a lungo termine, la cosiddetta “sindrome post-Covid-19”
Sono passati sei mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria in Italia e dal giorno in cui l’Oms ha dichiarato che Covid-19 fosse una pandemia. Tra le molte incognite che restano ancora (per il momento) senza risposta sul nuovo coronavirus ci sono anche gli effetti a lungo termine che la malattia ha sulla salute dei pazienti. In molti soggetti, in particolare nei casi gravi, ma non solo, anche una volta che l’infezione vera e propria è finita persistono diversi sintomi, come la stanchezza e l’aritmia. Quanto dureranno? Quale può essere l’entità del danno anche a distanza di tempo?
Una research letter appena pubblicata su ‘Jama’ da un gruppo di geriatri della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e dell’Università Cattolica, campus di Roma, fa il punto della situazione e chiarisce quali sono i sintomi più frequenti e persistenti.
Lo studio, firmato da Angelo Carfì, Uoc Continuità assistenziale Policlinico Gemelli, Francesco Landi, docente di Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica, e Roberto Bernabei, ordinario Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica e direttore Dipartimento Scienze dell’invecchiamento, neurologiche e della testa–collo del Policlinico Gemelli, è stato condotto presso il Day Hospital post-Covid della Fondazione Policlinico Gemelli dal 21 aprile scorso.
Su 143 pazienti, seguiti fino alla fine di maggio, a distanza di oltre 2 mesi dalla diagnosi di Covid- 19, solo 1 su 10 non presentava sintomi correlabili alla malattia iniziale. La maggior parte (87%) riferiva infatti la persistenza di almeno un sintomo, soprattutto stanchezza intensa (53,1%) e affanno (43,4%). Il 27,3% lamentava dolore alle articolazioni e uno su 5 dolore toracico. La qualità di vita, valutata con apposite scale, è risultata infine peggiorata in tutti i pazienti.
“Al momento i sintomi principali riportati dai pazienti dopo l’infezione sono tre: un senso profondo di stanchezza (astenia, fatigue in inglese), l’affanno, quindi difficoltà a respirare profondamente e dolori alle ossa e ai muscoli al livello del torace, associati a una difficoltà respiratoria”, spiega il Dottor Angelo Carfì, geriatra alla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e primo autore di un articolo pubblicato su JAMA. La ricerca analizza i sintomi lamentati dai soggetti che hanno sofferto di una forma grave di Covid-19, a circa due mesi dalla dimissione ospedaliera.
Un senso profondo di stanchezza
Il sintomo persistente più inquietante e comune sembra essere proprio la stanchezza. Intervistato da Science, Michael Marks, specialista in malattie infettive alla London School of Hygiene & Tropical Medicine ha precisato l’importanza di rintracciare i sintomi che causano tale stanchezza per poterla gestire. Alla base della fatigue potrebbe esserci una fibrosi polmonare o una funzione cardiaca compromessa, ad esempio. “La stanchezza profonda è un sintomo aspecifico”, conferma Carfì. “Anche quando abbiamo l’influenza avvertiamo questo senso di stanchezza, principalmente dovuto alle citochine infiammatorie rilasciate dal sistema immunitario al fine di arginare il patogeno invasore”.
Ci sono diversi fattori che potrebbero spiegare perché il sintomo persiste nel tempo: “la liberazione di citochine, che continua anche dopo l’infezione perché il corpo si sta ricostituendo, oppure una persistenza del virus negli organi”, ipotizza il dottore. L’astenia potrebbe anche essere dovuta “all’impatto devastante che ha avuto la patologia non solo dal punto di vista organico ma anche sul morale, sulla motivazione, sull’aspetto cognitivo”. L’isolamento, il ricovero, la drammaticità dell’emergenza sanitaria inedita sono un’esperienza molto traumatica.
La nebbia nel cervello
Un altro sintomo comune e preoccupante è la difficoltà a pensare con chiarezza. Una sorta di “nebbia nel cervello” accompagnata a problemi di memoria. Questo deficit cognitivo resta un mistero per i clinici, ma ha delle basi obiettive. Neurologi e psichiatri del Gemelli hanno sottoposto i pazienti a test psicologici per quantificare e valutare oggettivamente questi sintomi. “Le analisi preliminari mostrano che la performance di questi pazienti è inferiore a quella attesa per la loro fascia di età (tra i 50 e i 60 anni).
Non si sa ancora se ciò possa essere dovuto ad un’azione diretta del virus sui neuroni, ma alcuni ricercatori ipotizzano che questo possa anche aumentare il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson o la malattia di Alzheimer. Cosa plausibile secondo Carfì che immagina che l’infezione da Covid-19 possa aggravare una situazione di pre-Alzheimer per esempio. “L’eccessivo stress a cui un paziente che ha una predisposizione per la malattia verrebbe sottoposto a causa del virus potrebbe portare ad una manifestazione più rapida dei primi sintomi”.
Cosa fare?
Un‘integrazione ad hoc con aminoacidi e vitamine è il primo passo da compiere. Successivamente, e sempre sotto controllo di un medico specialista, fare riabilitazione motoria adeguata e introdurre supporti nutrizionali quantitativamente adeguati ai bisogni cellulari, aiuta notevolmente il recupero».
Per un recupero più rapido ed efficace dalla sindrome post covid, oltre ad una buona alimentazione, spesso è consigliabile ricorrere all’impiego di integratori che consentono di apportare all’organismo debilitato le giuste quantità di nutrienti come:
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L-ACETIL-CARNITINA
COLINA
L-TIROSINA
L-TEANINA
INOSITOLO
VITAMINE del gruppo B
VITAMINA E
VITAMINA C
VITAMINA D